dietro le quinte

Scrivanie, dove nascono i libri: Cosimo Argentina

Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Cosimo Argentina, in libreria con Dall'inferno scritto con Orso Tosco. 


Il mio modo di scrivere è cambiato molte volte, negli anni. I primi tre romanzi li ho scritti a penna e ricopiati con la mia fedele Olivetti. Dal quarto in poi ho lavorato al computer. Dal 1990 al 2018, quindi per quasi trent’anni, ho scritto tutti i giorni, tre ore circa, tutti i giorni compreso natale e ferragosto. Negli ultimi anni scrivo meno, sia perché ho molti romanzi inediti sia perché sono cambiate le mie abitudini. Ora scrivo come capita, appena è possibile, in emergenza, con l’urgenza di salvare un altro giorno della mia vita. Scrivo nel mio studio. Quando è possibile scrivo di mattina e correggo la sera. Bevo al massimo un bicchiere di vino e fumo qualche sigaretta sul balcone. Non ascolto musica perché la musica mi distrae, ma non vengo distratto dai vari rumori della casa, dal citofono, dalle urla del vicino, dalle sirene delle ambulanze. Quando inizio a scrivere intorno a una nuova idea non faccio che pensarci. Se sono impegnato nella revisione sono più distaccato e mi concentro solo sul lavoro di artigiano.

Ora che non ho orari precisi scrivo furtivamente, di soppiatto, quasi guardandomi intorno. Quando finisco un dattilo lo lascio là e non mi viene voglia di rileggerlo se non è passato un po’ di tempo. Se sono troppo stanco la scrittura ne risente e il risultato è scadente, ma val sempre la pena mettersi a scrivere anche se si cancellerà il 99% di quello che si è realizzato il giorno prima. Non fa niente. Va bene così, si resta sulla storia.

Sulla scrivania che fu di mio padre ci sono il portatile, uno schermo supplementare che non uso mai, una grande quantità di foglietti che ogni tanto controllo e butto via, una penna, una matita, un taccuino su cui non scrivo niente, la lampada (fondamentale) e un sottobicchiere della Raffo.

Non scrivo mai più di un paio di pagine, raramente tre, di solito una, una e mezzo. Un vezzo è quello di lasciare l’ultima frase scritta a metà: perché? Non lo so, forse è per mantenere un flusso continuo. Forse.

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