letture

Un'educazione letteraria: i libri di Antonio Talia

In questa rubrica i nostri autori e le nostre autrici raccontano tre libri che hanno contribuito a formare il loro immaginario.


di Antonio Talia

Ho un ricordo abbastanza preciso del momento in cui mi sono innamorato della lettura. Dovevo avere otto o nove anni, e dato che avevo più o meno intuito lo schema ricorrente dei fumetti di Topolino detective chiesi ai miei genitori di regalarmi Le Avventure di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle: BANG! Colpito e affondato; conquistato, rapito, avvinto per tutta la vita.

Per quanti libri sofisticati, importanti o addirittura necessari riuscirò a leggere nella mia carriera di lettore, per me le fondamenta erano già tutte là: narrazione serrata e avvenimenti insoliti che ti spingono a proseguire pagina dopo pagina, intreccio snodato attraverso ipotesi e piste vere o fasulle, personaggi improbabili ma memorabili, dialoghi brillanti - per quanto fosse consentito a un compito medico vittoriano - e una conclusione a sorpresa.

Se per avvinghiare il lettore bisogna riportarlo a uno stato di sospensione dell'incredulità che ricorda quello di un bambino, per quanto mi riguarda non c'è niente di meglio dell'opera omnia di Conan Doyle con protagonisti Sherlock Holmes e il dottor John Watson: come hanno intuito gli esimi Mark Gatiss e Steven Moffat - sceneggiatori della serie targata BBC Sherlock, che ha trasportato i personaggi di Conan Doyle nel Ventunesimo Secolo - la differenza decisiva tra Holmes e tutti i suoi epigoni da Cluedo come Philo Vance, i personaggi di John Dickson Carr e i noiosissimi detective di Agatha Christie sta nel fatto che, mentre tutti gli altri risolvono dei casi, Sherlock vive delle avventure. Insomma; datemi vicoli malfamati e pericoli in agguato, piani militari trafugati, società segrete, codici indecifrabili e scandali politici, e avrete tutta la mia attenzione.

La grande lezione di Conan Doyle sta nello stabilire un patto molto onesto tra chi scrive e chi legge: seguimi, e in cambio avrò sempre a cuore il tuo godimento di lettore senza abusare mai della tua attenzione e del tuo tempo. Ed ecco spiegato perché non ne avremo mai abbastanza di andarcene in giro per Londra mentre la nebbia sale e la partita è cominciata.

Ma poi inevitabilmente si cresce, e non è detto che l'innocenza perduta sia un male. Per quanto si possa imparare da maestri come Raymond Chandler (stile eccelso; un tema fondamentale come quello dell'individuo solo nella metropoli; un certo disperato romanticismo) arriva sempre il momento in cui capiamo che la realtà è insondabile e scriteriata, e non arriverà nessun detective iper-razionale a riordinarla per noi.

L'autore che mi ha messo davanti a questo macigno è stato Leonardo Sciascia: non mi riferisco solamente al Giorno della civetta o a A ciascuno il suo (con quel finale agghiacciante, pervaso da un fatalismo tutto meridionale che riconosco a pelle), ma soprattutto a Todo modo e alla sua analisi del potere. Lo Sciascia illuminista ci dice che come cittadini non possiamo interrompere la ricerca e che è nostro dovere adoperare l'intelletto per ricostruire i meccanismi del potere; lo Sciascia più pessimista e metafisico ci svela che questi meccanismi si auto-perpetuano, incuranti degli individui che li incarnano di volta in volta. È stato Sciascia a traghettarmi verso un altro autore che adoro con tutto me stesso, Jorge Luis Borges: gli interrogativi si spostano dalla natura del potere alla natura umana e a come - in ultima analisi - il nostro rapporto con il tessuto stesso della realtà sia determinato dalle storie che ci raccontiamo. 

Troppe fantasticherie, troppe elucubrazioni? Amo la letteratura fantastica e quando Stephen King è in forma lo ritengo un gigante capace di riempire il cuore di emozioni e le viscere di paura vera, senza rinunciare ad acrobazie stilistiche molto più complesse di quanto sembrerebbe in apparenza. Ma da giornalista lavoro in un settore del tutto diverso, nel quale la deontologia professionale impone al patto con il lettore un altro articolo, oltre a quelli che ho imparato in precedenza: farò del mio meglio per non annoiarti e per riflettere insieme a te su temi come il potere e la società; ma dovrò anche attenermi ai fatti.

La scoperta del New Journalism ha calamitato l'ago della mia bussola verso strade nuove, inesplorate e affascinanti: leggendo fuoriclasse del giornalismo come Gay Talese, Joan Didion e Tom Wolfe ho capito che si può raccontare una storia vera con una cura linguistica inaspettata per un prodotto giornalistico, adoperando una struttura narrativa coerente e, allo stesso tempo, rispettando sia il lettore che i personaggi raccontati. I brani del White Album in cui Didion racconta la fine degli anni Sessanta nella California di Charles Manson e Jim Morrison oppure Onora il padre di Talese sulla famiglia mafiosa dei Bonanno rimangono per me dei vertici stilistici impareggiabili.

Ma forse la lezione più importante arriva da un pezzo di Talese considerato minore: ne Lo sconfitto il giornalista si ritrova con il campione dei pesi massimi Floyd Patterson, un uomo tormentato da un gigantesco complesso dell'impostore che ai vertici della carriera lo spingeva a nascondere barba finta e parrucca nella sacca da boxe, per non affrontare la stampa in caso di sconfitta. Quando Patterson ammette candidamente «sono un vigliacco», Talese non sfrutta quell'affermazione come un momento di debolezza da capitalizzare per un titolo a effetto, ma spinge il pugile a esplorarla fino a regalarci un ritratto perfetto di un uomo, delle sue paure e del suo coraggio. Ecco come spiegherà il suo metodo Talese: «Il mio approccio al giornalismo è che non ci si può far controllare dalla materia che si tratta, non si può mai essere servili nei confronti delle persone che si raccontano. Allo stesso tempo, bisogna rispettare queste persone: invece di dominare la gente, voglio provare a elevare la gente, anche nel raccontare le sue miserie».

Mi rendo conto di avere barato nella stesura di questo articolo; le linee guida tracciate da mimimum fax chiedevano di raccontare tre libri e tre autori che mi hanno influenzato, ma io invece ne ho indicati almeno sette. 

Posso solo assicurarvi che invece non ho barato nello scrivere Statale 106: buona lettura, spero che il libro vi piaccia. 


Nelle puntate precedenti:

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