dietro le quinte

Squadernare: Radio Magia

I libri dietro al libro

Squadernare è la voglia di curiosare nei libri. Cosa si muove dietro, dentro e intorno alle storie?

Lo abbiamo chiesto a Valerio Aiolli in libreria con Radio Magia.


La scintilla per la scrittura di alcuni dei miei libri è nata spesso dalla lettura di libri altrui: Roddy Doyle per Io e mio fratello, Flannery O’Connor per Luce profuga, Daniel Pennac per A rotta di collo, Don DeLillo per Nero ananas: autori che mi hanno fatto capire che “c’era il modo”, che a lavorarci la vaga idea che avevo in testa poteva forse diventare un romanzo. Radio Magia, nascendo da un’esperienza personale, non ha avuto bisogno di quel tipo di spunto. Non ci sono quindi libri che stanno dietro a Radio Magia, o meglio: tutti i libri che ho letto in vita mia ci stanno dietro, ma questo è vero sempre e per tutti quelli che scrivono. Ci sono però due film, che più che da innesco hanno agito da spauracchio, Scilla e Cariddi da cui passare in mezzo cercando di non sfracellarsi e di non farsi divorare. Per fortuna li ho visti entrambi quando l’idea del romanzo si era già strutturata, anzi avevo già cominciato a scriverlo, anzi uno dei due (quello italiano) l’ho iniziato e poi interrotto e non più ripreso fino a quando il libro non è uscito: non volevo farmene condizionare. Si tratta di I love Radio Rock e di Radio Freccia. Entrambi, ovviamente, hanno a che fare con l’atmosfera che si respira in Radio Magia. Ma il fenomeno delle radio libere è stato, non solo in Italia, talmente grande e pervasivo da poter tranquillamente sostenere più di una narrazione (mi dicevo mentre scrivevo e mi dico adesso): come esistono tanti libri sulla scuola, tanti racconti sulla Resistenza o sulla guerra, così possono ben coesistere un paio di film e un romanzo ambientati nel mondo della radiofonia ruspante (mi dicevo e mi dico). Poi boh, vai a sapere.

In Radio Magia sono citati due grandi libri di due grandi autori russi: L’idiota di Dostoevskij (lo legge Marta) e Il Dottor Živago di Pasternak (lo legge l’io narrante). Anche se li ho scelti in modo per me apparentemente naturale, forse non è un caso, visto che si tratta di una storia di adolescenti, che i russi, con le loro passioni espresse in modo così aperto, abbiano occupato il campo. La forza “troppo buona” del Principe Myskin come pietra di paragone di tutti gli afflati di cambiamento che attraversano quell’età (e in particolare quell’età vissuta in quegli anni settanta in cui è ambientato il romanzo), e l’amore romantico e tenace di Živago che sopravvive a tutte le rivoluzioni, alle guerre e alle notti di gelo con i lupi che ululano intorno alla casa nella pianura, fuori dal mondo e circondata da boschi di betulle. Bello pensare, a sedici anni, che la vita possa essere tutta così. Bello pensare, a sessant’anni, che la vita possa essere anche così.

Una curiosità: io a sedici anni non avevo ancora letto né L’idiotaIl Dottor Živago. Forse il film di David Lean l’avevo intravisto alla tivù, in bianco e nero e in uno schermo piccolo e quadrato. Un egiziano e una inglese che parlavano in italiano sulla colonna sonora composta da un francese: quella era la mia Russia, a sedici anni. Mia madre amava lo sguardo intenso di Omar Sharif, mio padre trovava «un po’ freddina» Julie Christie. Io tacevo, mi struggevo per il Tema di Lara di Maurice Jarre e sognavo di diventare un medico che scriveva poesie. Sogno infranto, almeno se interpretato alla lettera.

Dostoevskij invece l’ho affrontato proprio tardi, in età adulta. Mi sgomentava, con quella mole, con quella scrittura che Tolstoj nei suoi diari descriveva così: “Dopo pranzo ho letto Dostoevskij. Buone descrizioni, sebbene disturbino certi giochetti prolissi e un po’ ridicoli. I discorsi dei personaggi sono impossibili, innaturali” (12 ottobre 1910). E: “Ho letto Dostoevskij e mi ha colpito la sua sciattezza, artificiosità, falsità” (19 ottobre 1910). Aveva torto? Diciamo che aveva ragione, ma che la potenza e la profondità di Dostoevskij fanno superare a ogni lettore di buona volontà anche quelle barriere all’entrata. (Io comunque continuo a votare il Tolstoj di Guerra e Pace e Anna Karenina, per quel che conta).

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