Tramontare in quattro tempi.

Abbiamo chiesto a Andrea Gentile di raccontarci Tramontare attraverso alcune parole chiave.



MASSERIE DI CRISTO

La questione di fondo era cercare uno spazio abitativo, l’identificazione di uno spazio abitativo che fosse il più esteso possibile. Nel primo libro (ndr L’impero familiare delle tenebre future ed. Il Saggiatore) assume quella forma per una specifica ragione che interseca il vissuto con la sedimentazione della scrittura. Se consideriamo la scrittura un fatto non tecnico ma un fatto vitale, un qualcosa che respira non solo tramite le parole, tramite le sillabe, tramite il ritmo, tramite gli a capi, tramite gli spazi bianchi ma respira anche e soprattutto nella dimensione dell’invisibilità, nell’ombra che la scrittura crea può succedere che gli si trovi un orizzonte che è molto vicino a quello della tua vita perché anche tu sei corpo come la scrittura e anche tu sei dentro un corpo. Il corpo è questa strana fortezza da custodire che in realtà è in perenne disfacimento ma è necessariamente all’interno di questo corpo che vive con i suoi occhi alcune esperienze e che riversa dentro quest’altra forma vitale che è per l’appunto la scrittura. Masserie di Cristo è di fatto un luogo esistente, una frazione di San Pietro Avellana. Il primo libro con ambientazione Masserie di Cristo vive la ricerca della madre da parte della protagonista. La protagonista è continuamente convinta che la madre stia per morire e che forse sia già morta. Ecco che si interseca il corpo di chi scrive con il corpo della scrittura, il respiro di chi scrive con il respiro della scrittura che è ancora un’altra entità. Mia madre è di quel posto lì, è proprio di San Pietro Avellana. Questo posto è un non luogo abissale dove ci sono soltanto tre o quattro case e c’è soprattutto il cimitero. Non sapevo minimamente che gli altri libri sarebbero andati in quella direzione e soprattutto il secondo (ndr. I vivi e i morti ed. minimum fax) che è stato poi il vero cuore, Tramontare in realtà chiude perché Masserie di Cristo è una debolezza. Il prossimo passaggio è togliere anche Masserie di Cristo, togliere anche lo spazio. Lo spazio nel romanzo per quanto possa essere enorme resta un’architettura e nel momento in cui si scrive si può cercare anche di togliere l’architettura.

La mente, i fantasmi, i nostri pensieri non è che hanno proprio un’architettura, volano e quindi vola anche in qualche modo il piedistallo dello spazio abitativo di un libro. Quindi il prossimo libro, se mai ne scriverò, se finirò quello che sto scrivendo, non avrà Masserie di Cristo.


SACRO

Il sacro nasce dalle domande. Le domande che spingono verso questa presenza sono in qualche modo le domande che noi ci portiamo avanti per tutta la vita da quando nasciamo. C’è una tremenda proliferazione di domande che sorgono tutte da un grande sentimento che è molto umano e si chiama paura. Visto che ho paura nasce il sacro. Paura di cosa, poi? Paura della morte tendenzialmente e quindi è lì che credo si inneschi il sacro. Il cui corrispettivo è il corpo, la carnalità del quotidiano, l’esperienza. L’alternanza su cui tutti ci muoviamo è tra la paura di morire e la paura di vivere.


LIMITE

Nel momento in cui tu hai un orizzonte per quanto possa essere potenzialmente infinito è chiuso dentro una serie di caratteristiche umane Prendiamo ad esempio gli gnummareddi che si mangiano a Masserie di Cristo. Gli gnummareddi sono fatti di carne e dentro quegli involtini si può trovare un grosso cortocircuito. Per quanto sia stratificata nella nostra cultura, resta abissale il fatto di mangiare carne perché tu stai mangiando un’altra vita. Stai mangiando un pezzo di altra vita che in questo caso sono addirittura le interiora, non solo è morto ma tu lo vai proprio a scovare in uno spazio che già normalmente non è particolarmente vivo. Le interiora non sono esattamente la cosa più viva che un corpo animale possiede. Poi lo rivitalizzi con la cottura, lo ri-uccidi mangiandolo, lo fai rivivere espellendolo con gli atti orrendi che solo il nostro corpo produce e capisci quante volte vita e morte si intrecciano in questa storia Gli gnummareddi diventano la rappresentazione di questa oscillazione che è un’oscillazione che non è tra vita e morte, né vita né morte ma nel fatto che è possibile stare dentro un’esperienza vitale senza che essa sia per forza vitale ed è possibile stare dentro un’esperienza di morte senza che essa sia completamente di morte il che vuol dire che se però gli gnummareddi sono ciò che mangio a Masserie di Cristo in qualche modo io già sto avendo una limitazione. È esattamente come la mente deve essere, la mente è potenzialmente infinita finché non arriva poi la morte definitiva a stroncare questa continua proliferazione della mente e quindi se siamo potenzialmente infiniti anche parlare di gnummareddi è limitante, è un problema perché la scrittura dovrebbe risolversi nel fatto che non si scrive, per cui da questo punto di vista qualsiasi parola tu dica è già limitante.


SCRITTURA

Contemplare per gli antichi era osservare, attrarre al proprio sguardo uno spazio d’orizzonte. Guardare nel proprio spicchio di cielo il volo degli uccelli e predire il futuro. La scrittura, come la contemplazione, è stare dentro l’esperienza che si fa. Forse si scrive proprio perché ci si lascia affascinare da una cosa che si chiama assenza della scrittura; prima di iniziare a scrivere tu sei già inghiottito dall’esperienza e cioè l’esperienza di non fare l’esperienza. Questo testo può non esistere e poi quando vive nel suo farsi mille volte al minuto il testo ti dice che potrebbe non esistere. E poi quando esiste è come se non esistesse. Tutto il resto è un dato che non ha più a che fare con la scrittura: la vendita del libro e tutte le altre cose. La scrittura è questa cosa: è stare dentro alla possibilità che tu stai contemplando l’esperienza della vita e che al tempo stesso sei già inghiottito dall’esperienza di non fare l’esperienza. Se consideriamo la scrittura uno spazio di contemplazione e di meditazione non è tanto importante che ci sia o meno una soluzione ma la risposta è nel fatto che il fiume quando scorre scorre. Il fiume sarebbe il testo. Quel che c’è, c’è .


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