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Scrivere di musica: la playlist di Rossano Lo Mele

Il 13 febbraio arriva in libreria Scrivere di musica: abbiamo chiesto a Rossano Lo Mele di regalarci una playlist con i pezzi che ama di più. Buon ascolto!


Sogno un saggio di Malcolm Gladwell che spieghi, un giorno, perché Nick Drake non è diventato quello che meritava di essere. In vita però. Scegli qualsiasi cosa dal suo (tristemente smilzo) catalogo restando in attesa di una ragione scientifica sul perché no. Povero ragazzo. L’incastro di pianoforte e chitarra qui. Il sax, poi.

La voce di Mark Almond nell’apertura profuma sempre di autunno e disperazione. Un brano che ha 40 anni ma che è più contemporaneo dell’attualità. Quando si facevano singoli lunghi cinque minuti e mezzo senza l’ossessione del ritornello che deve arrivare presto, prestissimo. Pop, viscerale e sintetico.

La grazia della scrittura, la cura degli arrangiamenti, quel tintinnio accogliente di chitarre, un gruppo di culto scoperto grazie ai R.E.M., parenti artistici più noti. Da quell’Australia che già all’epoca alimentava il mondo del rock.

L’inizio del libro e di questa storia fatta di parole, chitarre e varicella. La scoperta di questo gruppo, ma sarebbe più approfondito dire: di un mondo estraneo al fluire quotidiano di un adolescente tipo. Un’epifania: c’è un’altra vita, fuori dalla scuola e dalla TV.

Quando hai successo, rifai sempre la stessa cosa, all’infinito. Mi raccomando l’outfit. Vestiti strano, non dimostrare la tua età. Il pubblico ti conosce per quello che hai fatto, non tradirlo mai, ribadisci. Poi per fortuna ci sono gli Everything But The Girl. Una delle cose di più immenso talento mai capitate nel mondo del pop. La visione della e dentro la musica.

Un outsider, proprio. Un disco che nessuno ha considerato e che ancora meno persone hanno ascoltato, figurarsi comprarlo. Gloriosamente ignorato - al principio del millennio - nonostante le sue due vite e stampe ravvicinate. Una delicata canzone pastorale al profumo di transistor e postmoderno. 

Patty in playback, tutto fuori sincrono, al Festivalbar del 2000. Saper stare sul palco della vita. La circolarità di certe melodie, un beat che non cambia quasi mai, un ritornello assassino, una canzone “all’americana” che avrebbe meritato molto di più. Meno male che c’è Isoradio.

Un tutorial per musicisti: come concludere un brano quando non sai che pesci prendere. Magnifici Notwist: rossiniani, tedeschi, moderni e con quella pronuncia inglese palatale e plateale da passare in secondo piano.

Essere Martin Gore. Voce moquettata, penna sopraffina, riccioli d’oro, unghie smaltate. Un cervello sottostimato a causa della sua stessa bellezza. Ha scritto cose così, sulla fine e sul perché le cose finiscono. E lo ha fatto non certo da esordiente.

Da non confondersi con l’omonima canzone dell’americana Taylor Swift. Che grande narratrice è l’inglesissima Lily Allen. Le vengano riconosciuti i giusti meriti. Quanto meno in una canzoncina leggera ma feroce come questa. Spensieratamente drammatica. Così vera.

La canzone della band di Matt Berninger più ascoltata su Spotify. Sembrava fosse un brano minore dentro un disco troppo difficile per emergere. E invece. Quante volte ti sei detto, cantando: “I’m under the gun again, I know I was a 45 percenter then, I know I was a lot of things, But I am good and I am grounded, Davy says that I look taller, I can’t get my head around it, I keep feeling smaller and smaller, I need my girl”.

Michele ha fatto un disco pazzesco. Laghisecchi, Numero6, Mezzala. Tanta storia e tante storie nel suo passato, tante canzoni, tanta musica italiana. Spero sempre che qualche passante o curioso in più se ne accorga. Perché se lo merita tutto. Da Genova, via Milano, con dolore. Tanto.

Kiwanuka è un ragazzo contemporaneo: ma in ogni cosa che fa suona (già) classico. Un po’ Terry Callier, un po’ John Martyn, quello stare fuori dal tempo proprio dei grandi che hanno valicato i decenni e i generi.

Una canzone d’amore. Una grande canzone d’amore. Ma anche una canzone su amici e compagni che non rivedrai mai più, sulle telefonate non fatte, sul non aver chiesto abbastanza: tu, come stai? Chi rimane indietro spesso è chi scompare dal retrovisore della nostra memoria.

Pescata per caso nell’ultimo Ozpetek. Arriva così, come una lama. A ricordarci che sì, Dalla, De André, Guccini e De Gregori. Ma Ivano Fossati è il dio della canzone italiana. Perfino da recluso, in un album fatto per Natale con Mina. Come fa un generatore di tanti capolavori che oggi immagino intento a studiare il mare a concepire ancora cose così?

Il pezzo di musica e di arrangiamento più struggente e nascosto sentito negli ultimi mesi. Parere personale, chiaramente. Aspettare il momento? Aspettare di viverlo? Aspettare cosa? L’attesa è la parte più difficile, diceva Tom Petty. Uno che di tempo ne sapeva.


(Immagine: MARK S. - Unsplash)

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