Letture estive obbligatorie da disattendere

Abbiamo chiesto a Mario Fillioley, il nostro professore preferito autore di Lotta di classe. Diario di un insegnante in prova, di raccontarci quali sono le letture estive che consiglierebbe ai ragazzi. Il risultato è questo qui: buona lettura! (Foto: Drew Coffman via Unsplash)

di Mario Fillioley


Quest’anno ho avuto per la prima volta una terza. Significa scrutini, riunioni, commissioni, esami, esami, esami, un mese di esami, abbiamo finito a luglio.

Luglio è estate già da un pezzo, che gli vuoi dire ai tredicenni, ho pensato, è il loro ultimo luglio da non ancora adolescenti, la loro ultima estate con la bici al posto del motorino, l’ultima vacanza con i genitori, i fratellini più piccoli, i cuginetti più grandi, tutti insieme, col camper, dalla zia di Milazzo. L’anno prossimo, a giugno, sarà già ribellione, sarà già muso stirato: No, io con voi non ci voglio venire, dalla zia di Milazzo ci andate voi, lasciatemi qua, a casa, con la nonna, anzi portatevi pure la nonna, che mi rompe.

Che gli vuoi fare leggere a questi qua, dei libri? mi sono domandato. Non mi pare il caso, mi sono risposto, e naturalmente sono corso subito a compilare una lista di letture estive obbligatorie. Tanto, alla fine, se anche non ne leggono nemmeno uno, io non lo saprò mai: il trenta di giugno ho smesso per sempre di essere il loro insegnante di lettere, e il loro nuovo insegnante, quello delle superiori, non potrà nemmeno sospettare che un tempo sia esistita una lista di letture estive da disattendere: è il delitto perfetto.

Allora, per orientarmi nella compilazione di questa cosa inutile, mi sono sforzato di ricordarmi che cosa leggevo io a tredici anni, e non mi veniva in mente niente: alle medie io mi leggevo l’antologia, questo me lo ricordo, tutti gli anni, nel senso che me la leggevo per intero, dall’inizio alla fine, a letto, di pomeriggio, dopo pranzo, oppure verso le sei e mezza di sera, quando avevo finito gli altri compiti, me la leggevo durante le vacanze di Natale, quelle di Pasqua, quelle estive, io giravo per la casa con questo librazzo, pesante e dalle pagine enormi, l’esatto opposto di un tascabile, sotto al braccio e poi mi sedevo dove capitava, sul tavolo del soggiorno, su quello della cucina, sul tappeto, a letto, sulla scrivania dello studio di mio padre, e leggevo pagina dopo pagina: scampoli di romanzi, mezzi racconti, tagliuzzamenti di poemi.

Come lettore, l’antologia un poco deve avermi beneficato e un altro poco deve avermi nuociuto: quattro anni fa, mia moglie mi ha regalato il Kindle, che secondo me è un oggetto bellissimo, non tanto per il fatto che è comodo, quanto per il fatto che col Kindle ti puoi leggere un sacco di estratti gratis. Vai su Amazon, clicchi su un bottone che si chiama “Invia estratto al Kindle di Fillioley” e ti leggi almeno un capitolo intero di quel libro, senza comprarlo. Oppure, se è un libro di racconti, ti leggi per intero il racconto iniziale. Se ti piace continui, se non ti piace non continui. Se invece da piccolo ti leggevi anche tu l’antologia, pensi come me che il bottone “Continua a leggere” significhi: “Torna su Amazon e scaricati un altro estratto, di un altro libro”, ad libitum, in un florilegio di letture rapsodiche e inconcludenti.

Quando esce la dozzina dello Strega, per dire, io me la antologizzo da solo, col Kindle, il che significa che sono almeno quattro anni che non leggo un libro dello Strega tutto intero. L’anno scorso in dozzina c’era Albinati, e l’estratto era lungo trecento pagine, cioè quanto un libro intero, cioè una fregatura, se sei un lettore di estratti. Per la verità, il libro di Albinati intero era lungo più o meno quanto tutta l’antologia che avevamo quest’anno: quando mi sono messo a compilare la mia lista di letture obbligatorie e trascurabili per l’estate, la cosa mi è tornata a vantaggio e ho scritto in alto a sinistra a mo’ di intestazione:

Per prima cosa prendete l’antologia che abbiamo usato in classe e leggetevela tutta quanta.

Sotto ho aggiunto:

Sono solo 1080 pagine, 220 pagine meno del libro di Albinati, quindi non frignate.

Dopo aver messo l’antologia in cima alla lista, mi sembrava di avere finito. In effetti, negli acquisti estivi che poi facevo fare a mia madre da Mascali, il libraio della via Maestranza, era sempre l’antologia a guidarmi, più o meno con lo stesso principio del Kindle.

Mi ricordo che in prima media dissi a mia madre che volevo leggere “Il Cugino Venanzio”. E di chi è questo libro? chiese mia madre. Io andai a consultare l’antologia e poi le dissi: Elsa Morante. Mia madre mi disse: Senti, a casa abbiamo tutti i libri della Morante, non c’è bisogno che lo compriamo, solo che non mi ricordo nessun libro di Elsa Morante che si intitoli “Il cugino Venanzio”. Allora abbiamo tirato giù dagli scaffali i vari titoli della Morante e ci siamo messi a cercare negli indici, e poi mia madre ha detto: Ah, l’ho trovato! Però il libro non si chiamava “Il cugino Venanzio”, il libro si chiamava “Lo scialle andaluso”. Sapevo cosa significasse scialle perché in famiglia c’era qualcuno che lo portava, però non sapevo cosa significasse “andaluso”.

Non sono mai andato a cercare “andaluso” sul vocabolario: m’annoiava. I vocabolari sono molto utili, però spezzano il ritmo della lettura, anche sul Kindle, che c’è la funzione vocabolario ma ti devi comunque interrompere. Io mi sono letto il libro della Morante e alla fine ho imparato cosa significava “andaluso” senza vocabolario, leggendo una storia, e diciamo che è stato il modo in cui, nella vita, ho imparato - e spesso anche frainteso - un sacco di parole di cui non conoscevo il significato, e del resto ancora adesso ci sono parole che non so e che preferisco ricavare dal contesto in cui vengono scritte o dette, anziché cercarne la definizione, perché la definizione di una parola me la dimentico sempre, mentre la frase in cui quella parola è stata usata mi rimane più impressa.

Credo che anche questo procedimento, questo modo di acquisire i vocaboli abbia a che vedere con l’antologia che leggevo alle medie. Quindi mi rassicuro: ho fatto bene a inserire l’antologia al primo posto della lista.

Aspetta però, penso, vediamo se è vero: dello “Scialle andaluso”, l’unico racconto che ancora mi ricordo è quello del cugino Venanzio, quindi forse l’antologia funziona un po’ come funzionavano i 45 giri rispetto al 33 giri: ascoltavi alla radio il singolo, che ti piaceva tantissimo, e allora ti fidavi e andavi a comprare l’album, e invece di tutto l’album continuavi ad ascoltare solo il singolo, che di solito era la prima traccia del disco. È un rischio, che faccio? Lo segnalo? No, penso: un insegnante dubbi non ne può avere, per cui proseguo come se nulla fosse.

Per proseguire, torno a casa di mia madre e mi fiondo nelle segrete del garage, un basso in cui tengo le biciclette e tutti i giocattoli, i quaderni, i libri di quando io e mio fratello eravamo piccoli.

Dentro il garage, la distinzione fra cose mie e cose di mio fratello rispecchia quella che avevamo in casa: non c’era, non c’è mai stata, io e lui ci differiamo solo tre anni, ci siamo sempre messi gli stessi vestiti, le stesse scarpe, le stesse mutande, calzette, tutto quanto. Prima di andare ad abitare ognuno per conto nostro, l’armadio era uno solo, e nessuno dei due si ricordava se quella maglietta era mia oppure era sua, stavamo solo attenti a comprarci cose che piacessero a tutti e due, e non era difficile perché tanto negli anni Ottanta tutti i ragazzini si vestivano uguali.

Comunque nel garage ci sono i libri miei e libri suoi, c’è una libreria con quelli di scuola e una con quelli un poco sbrindellati che probabilmente abbiamo letto in estate, l’ultima prima che ci comprassero una Vespa Pk 50 Xl colore blu notte, usata, con un adesivo di Paperino, che poi ci siamo divisi, come tutto il resto delle cose.

Abbiamo letto anche gli stessi libri, quell’estate? Non me lo ricordo, però c’è uno scaffale tutto di titoli con gli animali: mi ricordo che né io né mio fratello abbiamo mai chiesto ai nostri genitori di poter possedere un animale domestico, però adesso, a guardare questo scaffale di letture estive, facciamo la figura di due piccoli etologi, forse gli animali veri non ci piacevano tanto, dopo tutto siamo nati e cresciuti a Siracusa, una città priva perfino di un giardinetto pubblico, dove l’avremmo portato poi quest’animale? E invece ci piacevano molto gli animali che c’erano dentro ai libri, che non li dovevi portare da nessuna parte. Mi ricordo il gran piacere a leggere almeno due di questi libri: adesso li aggiungo subito all’elenco, penso, e ci scrivo accanto che sono LETTURE IMPRESCINDIBILI.

- Konrad Lorenz, L’anello di Re Salomone
- Gerald Durrell, La mia famiglia e altri animali

Mi viene un altro dubbio, già che sono in garage me lo tolgo: apro la mia vecchia antologia e controllo. Ci sono due estratti, da tutti e due questi libri che evidentemente ho preteso fossero acquistati dopo averne letti gli estratti: quello con le papere che scambiano per mamma Konrad Lorenz me lo rileggo subito, mentre sono là, in garage. Mi viene la voglia di rileggermi tutto L’anello di re Salomone, però devo fare la lista, non c’è tempo, lo chiudo.

Accanto c’è uno scaffale con un sacco di Rodari. Di due di questi Rodari ho il ricordo nitido di me che li leggevo nella stanza da letto dei miei, d’estate, l’unica stanza fresca della casa in cui abitavamo, con le tende che svolazzavano e ogni tanto mi finivano sopra le pagine e mi toccava ricominciare dal rigo sopra:

- Le avventure di Cipollino
- La freccia azzurra

Chissà se era l’estate di terza media o quella di seconda o quella di prima, ma tanto che ci fa? Figurati se i miei studenti scorreranno mai questo elenco.

A questo punto però voglio chiamare mio fratello per capire se erano libri miei, suoi, della mamma, di papà: esco dal garage perché dentro non c’è segnale. Chiamo, due, tre, quattro volte, non risponde. Chiamo la quinta volta, risponde: Che è successo, mi chiede tutto allarmato. No, niente, gli dico, sono in garage. E che me ne frega, mi dice lui, io sono in udienza, Corte d’Appello, a Catania, che c’è, che vuoi? Io gli dico: Ma per caso ti ricordi di chi sono i libri di Rodari che ci sono in garage? Che ne so, mi fa lui, quando mai abbiamo avuto libri miei e libri tuoi? Se ti servono, prenditeli, no? Poi chiude senza salutare. Io mi prendo i due Rodari, Editori Riuniti, copertina plastificata, ottime condizioni.

Questi me li annetto alla mia libreria di casa, penso soddisfatto tra me e me: Tanto tu c’hai l’appello a Catania, manco te ne accorgi, gli scrivo in un sms.

Dietro ai Rodari c’è un libro fuori posto, anche questo comprato per via dell’antologia delle medie, me lo ricordo: Mascali non ce l’aveva, e io avevo riso con le lacrime leggendo il brano sull’antologia, e quindi volevo leggere tutto il libro, e ho dovuto aspettare un sacco, forse addirittura due settimane prima di averlo:

- Il signor Veneranda, di Carletto Manzoni.

Lo sfoglio: fa ancora ridere? mi chiedo. Apro una pagina che ha l’orecchio, leggo:

– È senza chiave? – chiese il signore gridando per farsi sentire.
– Si, sono senza chiave – gridò il signor Veneranda.
 – E il portone è chiuso? – gridò di nuovo il signore affacciato.
– Si è chiuso – rispose il signor Veneranda.
– Allora le butto la chiave.
– Per fare cosa? – chiese il signor Veneranda.
– Per aprire il portone – rispose il signore affacciato.
– Va bene, – gridò il signor Veneranda – se vuole che apra il portone, butti pure la chiave.
– Ma lei deve entrare?
– Io no. Cosa dovrei entrare per fare?
– Ma non abita qui lei? – chiese il signore affacciato, che cominciava a non capire.
– Io no – gridò il signor Veneranda.
– E allora perché vuole la chiave?
 – Se lei vuole che apra il portone non posso mica aprirlo con la pipa, le pare?
 – Io non voglio aprire il portone, – gridò il signore affacciato – io credevo che lei abitasse qui: ho sentito che fischiava.
 – Perché, tutti quelli che abitano in questa casa fischiano? – chiese il signor Veneranda, sempre gridando.
 – Se sono senza chiave si! – rispose il signore affacciato.
 – Io sono senza chiave – gridò il signor Veneranda.
– Insomma si può sapere cosa avete da gridare? Qui non si può dormire – urlò un signore affacciandosi a una finestra del primo piano.
 – Gridiamo perché quello sta al terzo piano e io sto in strada – disse il signor Veneranda – se parliamo piano non ci si capisce.
– Ma lei cosa vuole? – chiese il signore affacciato al primo piano.
 – Lo domandi a quello del terzo piano cosa vuole, – disse il signor Veneranda – io non ho ancora capito: prima vuol buttarmi la chiave per aprire il portone, poi non vuole che io apra il portone, poi dice che se fischio debbo abitare in questa casa. Insomma io non ho ancora capito. Lei fischia?
– Io? Io no… perché dovrei fischiare? – chiese il signore affacciato al primo piano.
– Perché abita in questa casa – disse il signor Veneranda -; l’ha detto quello del terzo piano che quelli che abitano in questa casa fischiano! Be’, ad ogni modo non mi interessa, se vuole può anche fischiare.
Il signor Veneranda salutò con un cenno del capo e si avviò per la strada, brontolando che quello doveva essere una specie di manicomio.

Quando finisco di leggere sto ridendo come quando avevo tredici anni, però che ne posso sapere? Alla fine sono uno che d’estate si leggeva l’antologia. Chiamo di nuovo mio fratello, stavolta risponde subito: Che c’è? mi dice, che cosa vuoi? Io non gli dico niente, mi metto solo a leggergli il signor Veneranda: lui ride molto forte, sghignazza, sento il giudice di corte d’appello che gli dice: Avvocato si può sapere cosa c’è da ridere, vuole far ridere anche noi, per cortesia? Allora mio fratello mi sussurra dentro al telefono: Quello è mio, non ti azzardare a fregartelo, capito? E chiude. Quando mai abbiamo avuto libri miei e libri tuoi? gli scrivo in un sms. E mi intasco il libro.

Già che ci sono chiamo mia madre. È in ufficio. Le chiedo: Senti mamma, sto preparando una lista di letture estive obbligatorie per i miei studenti di terza media. Lei mi dice: Obbligatorie? Ma come obbligatorie? Come fai l’anno prossimo a controllare se hanno letto oppure no? Fatti miei, le dico, non ti intromettere in questioni che riguardano il mio lavoro. Poi le chiedo: Per caso ti ricordi cosa ho letto io l’estate dei miei tredici anni? Lei mi dice subito: L’antologia, tu ti leggevi l’antologia e basta, una volta mi hai pure detto che ti volevi laureare in antologia. È perché ancora non avevano inventato il Kindle, penso io. Poi le chiedo: Ma un libro che leggevo a quell’età? Per intero, voglio dire. Lei mi dice: Ti sei letto tutta quanta la Ginzburg, mi dice lei, mi ricordo che l’abbiamo comprata nell’edizione del Club degli editori, per posta, costavano meno, i libri sono ancora tutti in soggiorno.

Vado in soggiorno, ma mi porto dietro le pepite recuperate in garage, soprattutto mi tengo stretta la mia vecchia antologia. Mi siedo sul tavolo, di fronte alla libreria di casa, cerco sull’indice la Ginzburg, trovo il brano antologizzato, anzi ce ne sono tanti, quattro, cinque, io però mi ricordo bene solo di due: quello col papà e i fratelli che si picchiano tra loro perché a uno dei due fratelli non piace fare gite in montagna e quello della nonna che chiama Cocotte le donne frivole e vestite in modo vistoso. È un libro molto divertente, una famiglia divertente che usa parole divertenti, lo aggiungo subito alla lista:

- Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg.

Do un’occhiata al mio catalogo di letture estive, obbligatorie ma passibili di essere bellamente ignorate, e mi ritengo soddisfatto. Aggiungo una postilla: Ragazzi, non sono assai, sono solo sei libri, che ci vuole? Non ne aggiungo altri, lo prometto, però a un patto: che vi leggiate tutta quanta l’antologia. Capito?

Invio la lista, completa di postilla, sul gruppo WhatsApp di classe. Poi richiamo mia madre: Ma si può sapere che vuoi stamattina? mi dice lei, sono in ufficio, sto lavorando. Anch’io sto lavorando, le dico io, che ti credi? Poi le chiedo: Senti, ma secondo te mi faceva bene leggere l’antologia? Non penso, mi fa lei, saltellavi di continuo tra un desiderio e un altro, mi facevi comprare un sacco di libri e poi continuavi a leggerti gli estratti che avevi sull’antologia. Va bene, le rispondo io, però non mi sono mai drogato, giusto? Sì, mi fa lei, ora però ho da fare. E chiude.

Torno in garage. È pieno di libri che ho letto da ragazzo, comprati da Mascali sulla base dell’antologia. Ora che ho preso l’antologia, mi chiedo, ora che l’ho tolta dal garage e me la sono portata a casa, che fine faranno questi libri, nati per partenogenesi, che ci sono sugli scaffali del mio garage? Si dissolveranno? Se ne torneranno nella libreria dove li avevo comprati? E da là dove andranno ? Finiranno in mano in mano ai miei studenti? Devono sbrigarsi, penso mentre chiudo il garage, devono tornarsene da Mascali, a piedi, da soli, devono fare la strada in fretta, devono fare prima che i genitori regalino ai miei studenti una Vespa 50 Pk XL usata, colore blu notte con l’adesivo di Paperino. Hanno una sola estate di tempo.

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