estratto

Il giorno del cappio

Un anno fa, il 6 gennaio 2021, alcuni manifestanti decidevano di invadere il Campidoglio. Un estratto da Complotti!, il libro di Leonardo Bianchi per ricordare quel momento e provare a fare chiarezza.


Ricordate per sempre questo giorno


«Cazzo, che figata ragazzi! È bello vedervi qui, siete dei cazzo di patrioti», esclama un uomo mentre cammina con aria spavalda nell’aula del Senato degli Usa. Sono passate da poco le due di pomeriggio del 6 gennaio del 2021. L’individuo in questione si chiama Jacob Chansley ed è un ex attore trentaduenne dell’Arizona conosciuto anche come Jake Angeli, lo «Sciamano» e il «Lupo di Yellowstone». Esibisce sul petto nudo diversi tatuaggi che rimandano alla simbologia vichinga, in testa ha un vistoso cappello in pelliccia con due corna e nella mano sinistra regge una bandiera degli Stati Uniti. Dietro di lui c’è un poliziotto del Campidoglio che ha una mascherina chirurgica sul volto e non ha la più pallida idea di cosa fare. Davanti, invece, è seduto per terra un uomo di nome Joshua Black, con il cappellino rosso maga (da «Make America Great Again», lo slogan principale della campagna presidenziale di Donald Trump) e la faccia ricoperta di sangue. Alcuni manifestanti – tra cui uno con un fascio di manette di plastica – vagano per l’aula e consultano i documenti lasciati dai senatori, evacuati in fretta e furia in un posto sicuro all’interno dell’edificio.

Lo «Sciamano» sale sul podio della presidenza e si piazza sulla sedia dove soltanto un’ora prima c’era il vicepresidente Mike Pence, che stava presiedendo la seduta in cui si sarebbe dovuta ratificare la vittoria del candidato democratico Joe Biden alle presidenziali di novembre 2020. L’agente lo invita ad alzarsi, ma Chansley risponde che Pence è un «fottuto traditore», e quindi tanto vale rimanere lì. Poi estrae il cellulare dalla tasca, e chiede a un altro uomo con il cappellino maga di scattare una foto per immortalare il momento. «Di solito non mi faccio foto», dice, «ma per questa volta farò un’eccezione». L’agente, sospeso tra il fastidio e la paura di essere sopraffatto, chiede gentilmente di uscire dall’aula. In un primo momento i presenti acconsentono, ma Chansley rimane sullo scranno e scrive qualcosa su un foglio. Il giornalista del New Yorker Luke Morgelson si avvicina e inquadra la scritta: È solo una questione di tempo, la giustizia sta arrivando.

Nel frattempo, l’aula continua a riempirsi. «Ci sono altri quattro milioni di noi là fuori che stanno venendo qui», spiega all’agente un membro del gruppo estremista Proud Boys che indossa un giaccone di flanella a quadrettoni gialli e neri. Altri raggiungono il podio; uno di loro invoca Gesù Cristo. A quel punto lo «Sciamano» si toglie il copricapo e intona una strana preghiera:


Grazie Signore dei cieli per averci donato questa opportunità di batterci per i nostri diritti divini e inalienabili. Grazie Signore per aver dato ai poliziotti l’ispirazione necessaria per farci entrare in questo edificio e lanciare il nostro messaggio: a tutti i tiranni, i comunisti e i globalisti, questa è la nostra nazione – non la vostra!


Un fragoroso «amen!» prorompe nella sala.

All’incirca nello stesso lasso di tempo anche l’altro lato del Campidoglio è invaso dai manifestanti, pericolosamente vicini agli ingressi della Camera dei deputati presidiati dalla sicurezza. «Mentre ci stavano evacuando», racconta il deputato repubblicano Byron Donalds, «sentivamo i colpi alle porte. Sapevamo che erano lì fuori». Qualche parlamentare rimane bloccato sulla balaustra e si rifugia sotto le sedie.

Un gruppo di assalitori si trova invece nella Speaker’s Lobby, un lungo corridoio fuori dall’aula in cui sono esposti i ritratti dei presidenti della Camera. I manifestanti scorgono in lontananza il deputato democratico James McGovern (in fuga e scortato dai servizi) e cercano di forzare la porta. Uno di loro sfascia il vetro a colpi di bastone, incitato dagli altri al grido di «buttala giù!» Al di là del blocco c’è un agente della polizia del Campidoglio con una pistola puntata contro di loro. Sono esattamente le 14.44: la trentacinquenne Ashli Babbitt – ex veterana dell’aeronautica, sostenitrice di Donald Trump e seguace della teoria del complotto di QAnon – non presta ascolto agli avvertimenti degli altri manifestanti e si fionda nel varco; parte un colpo d’arma da fuoco che la colpisce sul collo e la scaraventa a terra. Morirà di lì a poco. Il giorno prima aveva scritto su Facebook: «Niente e nessuno ci fermerà: possono provarci e riprovarci, ma la tempesta è arrivata e si abbatterà su Washington D.C. in meno di 24 ore».

Lo sparo che uccide Babbitt si sente distintamente all’interno della Camera. I deputati e le deputate, in preda al panico più totale, si tolgono le spille con i nomi per non farsi identificare. Il democratico Dan Kildee, dello stato del Michigan, telefona alla moglie. «Appena ho sentito la sua voce», ha detto in un’intervista, «ho pensato: “Sto davvero facendo quella chiamata? Quella che fai quando l’aereo precipita o il palazzo è in fiamme?”» Le forze dell’ordine riusciranno a sgomberare il Campidoglio e ristabilire l’ordine soltanto dopo diverse ore di caos e scontri, in cui moriranno cinque persone e svariate centinaia rimarranno ferite. Verso sera, mentre i due rami del parlamento si riuniscono nuovamente per portare a termine il conteggio dei voti del collegio elettorale, Donald Trump pubblica uno dei suoi ultimi tweet prima di essere bandito permanentemente dal social network. «Questo è quello che succede quando una schiacciante vittoria elettorale viene brutalmente sottratta ai grandi patrioti che per troppo tempo sono stati trattati male e ingiustamente», si legge. «Andate a casa, in pace e con amore. Ricordate per sempre questo giorno!»


Tutta colpa di Antifa ( e dell'Fbi)


I segni premonitori dell’assedio al Congresso erano alla luce del sole, insomma, e visibili a occhio nudo – a condizione, ovviamente, che l’occhio in questione non fosse quello delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza. Dopotutto, l’estrema destra americana lo dice da quarant’anni in tutte le salse: la «seconda guerra civile» non è soltanto un modo di dire, è un obiettivo concreto e un progetto dannatamente serio. E il 6 gennaio del 2021 è stato il momento in cui una vasta coalizione di movimenti, gruppi più o meno organizzati e singoli sostenitori di Trump – fomentati dal presidente in persona – è arrivata molto vicina a realizzarlo. Da un lato, come hanno scritto i ricercatori Brian Hughes e Cynthia Miller-Idriss, l’assalto è «un simbolo unificante, l’esempio di una vittoria sfiorata e ancora possibile». Dall’altro, però, si è tramutato quasi all’istante in una gigantesca operazione di false flag – che nel gergo complottista designa un’operazione militare «sotto falsa bandiera» per incolpare ingiustamente un gruppo o una fazione. Mentre milioni di persone stavano guardando in diretta una folla di soggetti – molti con i cappellini maga, le bandiere con il nome di Trump, i segni distintivi dei Proud Boys o le toppe di milizie come gli Oath Keepers – che invadeva il Congresso, il conduttore radiofonico di destra Michael D. Brown ha scritto su Twitter che gli assalitori sono «antifascisti o [militanti di] Black Lives Matter travestiti da sostenitori di Trump». Qualche minuto dopo, l’affermazione è stata ripetuta da Todd Herman nel programma radiofonico di Rush Limbaugh (un noto conduttore ultraconservatore): «I sostenitori di Trump non fanno cose del genere. Le fanno gli antifascisti e i Black Lives Matter». Nell’arco di pochissimo tempo, la leggenda si è diffusa sui social network ed è stata ripresa da attori come Kevin Sorbo (noto per il ruolo da protagonista nella serie tv Hercules), alcuni host di Fox News e repubblicani vicini a Trump – tra cui il deputato Matt Gaetz, che l’ha addirittura ripetuta nell’aula della Camera violata solo poche ora prima. In sostanza, annota un’analisi del New York Times, «la storia è stata riscritta in diretta». E ha attecchito non poco, almeno presso una parte dell’elettorato trumpiano: secondo un sondaggio della Suffolk University e di Usa Today, almeno la metà del campione intervistato ritiene che l’insurrezione sia stata organizzata dal movimento Antifa – da tempo uno dei più grandi spauracchi della destra trumpiana. Tra maggio e giugno del 2020, mentre il paese era scosso dalle proteste legate all’omicidio di George Floyd e dalla repressione poliziesca, Trump aveva annunciato che Antifa sarebbe stato dichiarato «gruppo terroristico». Sui media vicini ai repubblicani erano comparse storie dell’orrore su presunti voli pieni di attivisti, pronti a seminare distruzione e anarchia in tutto il paese. In un grottesco ribaltamento della realtà, persino le figure simboliche dell’assalto sono state risucchiate e stravolte dalle fantasie cospirative. Jacob Chansley – nonostante abbia ampiamente dimostrato di essere un fervente sostenitore di Trump e un fanatico di QAnon – è stato scambiato per un attivista di Black Lives Matter, un antifascista e addirittura il genero della speaker democratica Nancy Pelosi. Lo «Sciamano», com’era prevedibile, non ha preso bene queste accuse. «Non sono un Antifa o un blm», ha ribattuto su Twitter, «sono di QAnon e sono un soldato digitale. Mi chiamo Jake e ho marciato insieme alla polizia e combattuto contro i blm e gli Antifa a Phoenix. Basta controllare...» Anche Ashli Babbitt è stata descritta come «un’attrice» pagata per screditare il movimento pro-Trump, o persino un’attivista antifascista che ha simulato la propria morte. L’affermazione è stata ripresa anche dall’avvocato Lin Wood su Parler, dove ha postato un video in cui si sostiene che Babbitt non sia stata davvero uccisa al Congresso. Per una parte dell’ecosistema social-mediatico di estrema destra, invece, la donna è una «martire», vittima di «un’esecuzione» a sangue freddo da parte delle forze dell’ordine e dell’Fbi – che avrebbero agito sotto copertura per sobillare i sostenitori di Trump e poi reprimerli senza pietà. La tesi degli agenti infiltrati è partita dal piccolo sito estremista Revolver News, gestito dal suprematista Darrean Beattie, e in men che non si dica è approdata su Fox News. Nel giugno del 2021 il conduttore Tucker Carlson è arrivato a dire nel suo popolare programma Tucker Carlson Tonight che l’intero assalto «è stato organizzato dall’Fbi».Qualche giorno dopo la puntata, Matt Gaetz ha fatto sapere di aver chiesto al direttore dell’agenzia federale Christopher Wray quanti «informatori e agenti in borghese» fossero presenti il 6 gennaio; e lo stesso ha fatto la neo-deputata trumpiana e complottista Marjorie Taylor Greene, anche lei convinta che l’Fbi abbia «orchestrato ed eseguito l’assedio». Paradossalmente, insomma, un evento generato e alimentato da una lunga serie di teorie del complotto è diventato esso stesso l’oggetto di una valanga di teorie di segno opposto. Ma del resto bisogna stupirsi fino a un certo punto: come scriveva Don DeLillo nel romanzo Running Dog, «questa è l’era del complotto, l’era di connessioni, legami e relazioni segrete».  

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