letture

Un'educazione letteraria: i tre libri di Davide Coltri

In questa rubrica i nostri autori e le nostre autrici raccontano tre libri che hanno contribuito a formare il loro immaginario.


di Davide Coltri 

Non so come mi capitò tra le mani Vicolo Cannery di John Steinbeck: siccome aveva le pagine piuttosto rovinate e qualche macchia, quasi sicuramente non fu un regalo. Lo lessi una notte che non avevo neanche tredici anni e da allora ce l’ho in prestito permanente, nella colpevole certezza che ormai il proprietario o la proprietaria non verranno a reclamarlo.

Dentro ci trovai una lingua poetica e semplice che mi faceva pensare a uno scrittore estremamente umano e innamorato dei suoi personaggi: proteggeva vagabondi, prostitute e commercianti della valle di Salinas da qualsiasi tipo di giudizio e li lasciava emergere nell’immediata spontaneità del quotidiano, ognuno con la sua voce. Alla fine della prima lettura pensai che era proprio una fortuna che lo sguardo di Steinbeck avesse deciso di illuminare proprio quella valle, e più di una volta, durante la ricreazione o in attesa della lezione di pianoforte, mi capitò di chiedermi cosa stessero facendo Mack e i ragazzi in quel preciso momento.

Altri Libertini di Pier Vittorio Tondelli lo lessi in Iraq alla fine del 2013, e mi trascinò la sua capacità di rendere l’inquietudine e il vuoto della post-adolescenza - in particolare nei due capitoli Postoristoro e Autobahn - tramite una sintassi torrentizia, ricca di intramontabili espressioni gergali e di prestiti dal cinema e dalla musica. Anche qui mancano i giudizi e manca il sensazionalismo, nonostante la scabrosità delle vicende narrate (il libro ebbe guai con la censura): prevale la volontà di raccontare, per accumulo e con dolorosa dedizione, un atemporale sostrato di angoscia tramite alcune sue incarnazioni - quelle vissute da chi era ventenne, squattrinato, artistoide e gay tra la fine degli anni settanta e l’inizio della decade successiva.

Infine c’è l’Orwell letto poco prima dei trent’anni, quello di Omaggio alla Catalogna e di Senza un soldo a Parigi e Londra, per la sua volontà di accorciare le distanze che classe sociale e nazionalità frappongono tra gli umani. Sulla soglia della povertà nella capitale francese o tra i combattenti del POUM durante la guerra civile spagnola, Orwell sembra dire costantemente che se qualche barriera è stata eretta tra due o più individui, essa va rimossa, perché il comune umano può essere punto di arrivo solo se è allo stesso tempo indiscutibile punto di partenza. Ma non per questo sposa un facile pacifismo o il generico sogno di una  società in cui siano conciliati tutte le posizioni e tutti i credo: ci sono idee che vanno difese e diffuse, altre che vanno contrastate. Con parole semplici, chiare e fedeli alla realtà dei fatti, ma anche con la forza, se necessario – altrimenti quelle barriere si moltiplicheranno o risorgeranno più forti.

Credo che nei racconti di Dov’è casa mia ci sia molto dello sguardo di Steinbeck, qualche incursione dell’inquietudine di Tondelli e un generale debito verso Orwell (tanto l’uomo quanto lo scrittore). Vorrei infine citare un singolo racconto-capolavoro che ha determinato, sottotraccia, il tono generale del mio libro: Per Esmé, con amore e squallore, di J.D. Salinger.


Nelle puntate precedenti:

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