Speciale Americana/3: due romanzi di guerra

È in libreria e in eBook Americana. Libri, autori e storie dell'America contemporanea di Luca Briasco: il lavoro e la poetica di 40 scrittori raccontati da un grande americanista. Pubblichiamo qui, una volta a settimana, dieci contenuti extra.

Due romanzi di guerra

di Luca Briasco

 

Il 2012 è stato un anno di svolta per la narrativa americana: nel giro di pochi mesi sono usciti due romanzi che hanno conquistato l’attenzione della critica e accumulato elogi: ambedue finalisti del National Book Award e vincitori di molti altri, importanti premi letterari, erano tra i favoriti per la conquista del Premio Pulitzer per il 2013, ma i giurati, come accade ormai da qualche anno, li hanno ignorati, conferendo l’alloro a un’opera straordinaria quanto “fuori dagli schemi” come Il signore degli orfani, di Adam Johnson

Due romanzi, soprattutto, che affrontano – finalmente, si direbbe – la “sporca guerra” in Iraq, vera e propria piaga nell’immaginario liberal dell’ultimo decennio: una guerra scatenata sulla base di un’oggettiva menzogna, ammantata di un patriottismo post-11 settembre duro a morire, e trasformatasi nello specchio più nero di una nazione che ha rifiutato a lungo di interrogarsi su se stessa, sulla propria crisi morale, sulla progressiva corrosione – o peggio ancora, cessione – di quelle libertà che ne costituiscono il fondamento etico e filosofico. 

Dei due romanzi in questione il primo, Yellow Birds di Kevin Powers, è stato pubblicato da Einaudi Stile libero; il secondo: È il tuo giorno, Billy Lynn, di Ben Fountain, è stato invece proposto da minimum fax. In entrambi i casi, merita una menzione lo splendido lavoro sui testi originali di due tra i migliori traduttori dall’inglese: rispettivamente, Matteo Colombo e Martina Testa. 

Ben Fountain, 45 anni, aveva alle spalle solo una bellissima raccolta di racconti, Fugaci incontri con Che Guevara, pubblicata in Italia per i tipi di Spartaco Editore, proprio come Powers, poco più che trentenne, aveva scritto, prima di Yellow Birds, solo un pugno di (bellissime) poesie: due semi-esordienti, insomma, molto diversi per caratteristiche e stile ma accomunati da una forte coscienza letteraria e dall’autorevolezza con cui rinverdiscono e rinnovano le due grandi tradizioni della narrativa di guerra negli Stati Uniti. 

È sufficiente un breve sguardo agli incipit dei due romanzi per comprenderne la differenza e la complementarietà. Powers esordisce così:

“La guerra provò a ucciderci in primavera. Quando l’erba tingeva di verde le pianure del Ninawa e il clima si faceva più caldo, pattugliavamo le colline basse dietro città e cittadine. Superavamo le alture e ci spostavamo nell’erba alta mossi dalla fede, aprendoci sentieri con le mani come pionieri, tra la vegetazione spazzata dal vento. Mentre dormivamo, la guerra sfregava a terra le sue mille costole in preghiera. Quando arrancavamo, sfiniti, i suoi occhi erano bianchi e spalancati nel buio. Se noi mangiavamo, la guerra digiunava, nutrita dalle sue stesse privazioni. Faceva l’amore e procreava e si propagava col fuoco. Poi, in estate, la guerra provò a ucciderci mentre il calore prosciugava dei colori le pianure.”

Il lettore si ritrova subito immerso nel paesaggio iracheno, nella realtà della vita di pattuglia, nella sfida quotidiana con la guerra, tra amicizia virile, sopravvivenza, paura, morte. Nell’impasto metaforico predisposto da Powers si alternano a velocità vertiginosa l’immaginario tutto americano della conquista degli spazi (il richiamo ai pionieri) e una sensibilità quasi horror (gli occhi bianchi della morte). 

Questo, invece, l’incipit di È il tuo giorno, Billy Lynn:

“Gli uomini della squadra Bravo non hanno freddo. 

È un 

Giorno del Ringraziamento gelido e spazzato dal vento, e le previsioni annunciano grandine e nevischio per il tardo pomeriggio, ma la Bravo è bella calda di whisky e Coca grazie all’epica lentezza del traffico prepartita e al minibar della limousine.”

Freddo americano contro caldo iracheno; una squadra che non va di pattuglia, ma in parata; un evento sportivo imminente, e su tutto il caos festoso di un Giorno del Ringraziamento. La guerra è presente nei ricordi dei dieci soldati della squadra Bravo, in tournée americana dopo che una scaramuccia cruenta quanto vincente li ha trasformati in eroi (ma la vacanza è quasi finita, ormai, e il ritorno in Iraq imminente). 

È presente nella retorica patriottarda di chi è rimasto a casa e ripete come un mantra le parole-chiave “terrorismo” e “undici settembre” – primo fra tutti, il proprietario dei Dallas Cowboysla squadra di football che ospita gli eroi della Bravo nel suo stadio. ? presente nel tentativo di appropriarsi dell’eroica impresa e trasformarla in film, affidata al produttore hollywoodiano Albert. È presente soprattutto nello sguardo di Billy Lynn, che si è guadagnato una medaglia al valore a soli diciannove anni, e ancora, in fondo, non ha capito il perché. Come capisce e non capisce ciò che gli accade intorno, le frotte di ammiratori ricchi e signore impellicciate, le cheerleader, i campioni di football, una sfilata di vanità e artefatta commozione cui Billy sembra assistere in preda a un perenne stupore, alimentato dall’alcol e da una comica emicrania per la quale non riesce a trovare alcun rimedio, neppure un’aspirina. 

E non capisce molto di più della guerra nella quale pure si trova immerso fino al collo John Bartle, il protagonista di Yellow Birds. Che di anni ne ha 21 quando, nel 2004, parte per l’Iraq, non senza commettere subito prima il più grande errore della sua vita: promettere alla madre del commilitone Daniel Murphy che le riporterà il figlio a casa. Una promessa folle e irrealizzabile, destinata a trasformarsi nel fardello che il soldato Bartle sarà costretto a portare sulle spalle, prima sui campi di battaglia, poi nell’inferno di un lungo e surreale ritorno a casa. 

Evidenti, dalle due citazioni e dagli scarni elementi di trama che ho tentato di fornire, sono anche le diverse tradizioni cui Powers e Fountain attingono. Gli antesignani di Yellow Birds sono i romanzi incentrati sulla guerra in quanto momento della verità, nel quale i più elementari sentimenti umani sono come denudati e ridotti all’essenza: Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane, prima di tutto, ma anche Addio alle armi di Hemingway e – fuori dal contesto americano – Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque, evocato esplicitamente come modello da Tom Wolfe, uno dei grandi nomi che, da Dave Eggers a Alice Sebold, hanno salutato il romanzo di Powers come un capolavoro. È il tuo giorno, Billy Lynn si inserisce invece, con controllata autorevolezza, nella linea narrativa carnevalesca e velata di satira che ha in Comma 22 di Joseph Heller il suo esempio più perfetto, ma che può facilmente includere anche le pagine più feroci de Il nudo e il morto, di Norman Mailer, o le variazioni tragicomiche di Mattatoio n. 5 di Vonnegut. 

Più ancora che un’anatomia della guerra, Ben Fountain ha voluto scrivere un’anatomia dell’America in guerra, ricorrendo allo sguardo straniato, insieme innocente e stranamente consapevole, di un cittadino qualunque: un ragazzo proiettato prima nell’orgia di noia e sangue dell’Iraq, poi in una sarabanda di celebrazioni tanto fastose quanto incomprensibili. Il titolo originale del romanzo, Billy Lynn’s Long Halftime Walk, allude insieme alla breve marcia che la squadra Bravo è chiamata a compiere sul campo da gioco, durante l’intervallo della partita dei Dallas Cowboyse a un intervallo, una lunga parentesi nei ritmi e nei tempi del conflitto dalla quale nessuno esce più pulito, più sereno o anche solo più consapevole. 

La forza del libro di Fountain – e se vogliamo, il suo limite – sta proprio in questa sostanziale staticità, e nella passività del personaggio che funge da coscienza centrale della storia. All’autore non interessa evidentemente ipotizzare forme di riscatto o di autocoscienza, ma portare allo scoperto gli aspetti più mostruosi e troppo spesso nascosti di un paese che si affaccia al nuovo millennio ferito, spaventato, impoverito. Un paese attraversato da divisioni di classe profonde e rimosse dietro il mito del successo e della mobilità; un paese schiavo dell’economia e dei suoi meccanismi ormai ridotti a pura autoreferenzialità; un paese in cui tutto è spettacolo e insieme tutto è preghiera, in uno strano paradosso che pare alimentarsi all’infinito. 

Così, in uno degli episodi più divertenti e tristi del romanzo, il padrone dei Dallas Cowboys, Norm, dopo avere concionato i suoi atleti invitandoli a prendere esempio dalla squadra Bravo, lascia la parola al pastore Dan, “un uomo dalla bellezza stagionata che indossa la stessa tuta lucida degli allenatori”, che con “una melodiosa voce del Sud” pronuncia questa preghiera: “O Signore, aiutaci a giocare al meglio delle nostre capacità. A tenere sul campo un comportamento che obbedisca alla tua parola e onori la nostra fede. Guidaci, mostraci la strada, proteggici…”. Billy assiste alla scena, consapevole che “l’America, lo sa Dio, adora pregare. L’America prega, prega e prega, è la terra della preghiera sfrenata”, ma anche che quel cerimoniale di preghiera gli risulta faticoso. “Lui ci prova, ma non ne viene fuori nulla”. Una dialettica, quella dispiegata in questa scena, che ricorre con regolarità in tutto il romanzo. 

Se Yellow Birds segue la via classica del grande racconto d’iniziazione, negandone l’esito finale – al termine del romanzo, Bartle, anziché attingere a una sofferta maturità, appare scisso e disgregato, segnato irreversibilmente dal proprio umanissimo fallimento – ma ripercorrendone tappe e prove, È il tuo giorno, Billy Lynn procede invece per accumulazione e ripetizione, in una sarabanda di invenzioni linguistiche e di scene corali che, per crudeltà e arguzia, hanno comunque pochi eguali nella narrativa americana, di guerra e non, degli ultimi anni.

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