dietro le quinte

Scrivanie, dove nascono i libri: Marta Zura-Puntaroni

Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Marta Zura-Puntaroni, in libreria con Noi non abbiamo colpa.


Ho sempre provato per l’attività dello scrivere una certa vergogna, la stessa che si prova per gli inevitabili bisogni fisiologici o per gli hobby o passioni che è meglio non condividere con nessuno, nel caso remoto ma comunque possibile che l’argomento esca fuori mentre qualche tuo amico viene interrogato dalla polizia come testimone chiave di un omicidio violento, e questi finiscano per renderti sospetto – passioni come la tassodermia, il porno con fantasia di stupro.

Questi sentimenti mi hanno portato a evitare qualsiasi posa, luogo o momento della giornata che potessero dare un minimo di ufficialità o dignità all’atto dello scrivere, relegandolo alla stanza da bagno, alla camera da letto, alle ore notturne, solitamente tra le coperte o dentro una vasca piena d’acqua, mai seduta su una sedia o con un foglio appoggiato in piano.

Alle elementari odiavo scrivere con la biro, avevo una pessima grafia, gli infiniti dettati delle maestre mi facevano venire i crampi alla mano, e per qualche strana maniera in cui reggevo la penna mi ritrovavo il palmo puntolinato d’un inchiostro che puntualmente mi si trasferiva su faccia e vestiti. Fortunatamente mio padre cambiava piuttosto velocemente computer e mi ritrovai con una sua vecchia tastiera sotto le dita ancora prima di avere una vera consapevolezza della mia esigenza di scrivere, e un laptop soltanto un paio d’anni dopo, così l’esperienza della scrittura a mano, spesso consigliata e lodata da tanti scrittori - molto scenografico, senza dubbio: la scelta del taccuino, i feticismi e le nevrosi della penna, righe o quadretti, margini, eccetera - ho molta stima per tutta la gente che ha il coraggio di essere messa di fronte a quello che ha scritto così di frequente, quando scrive su carta, quando poi si trova costretta a decifrare la grafia e ricopiare tutto su un file .doc, ancora durante gli editing: personalmente cerco di rileggermi il meno possibile - dicevo, l’esperienza della scrittura a mano è stata limitata alla primissima età scolare, assieme ai classici esercizi montessoriani per sviluppare la motricità fine, e subito abbandonata appena la tecnologia me ne ha dato maniera.

Scrivo principalmente da laptop, a letto, e da cellulare, quando sono in vasca, o quando mi viene in mente una mezza frase o una suggestione che non voglio perdere, o in generale quando mi prende più forte, ancora adesso che una certa legittimazione la rende quasi ridicola, la vergogna dello scrivere: i tap sullo schermo di un iPhone possono essere confusi per qualsiasi cosa, dall’acquisto di un vestito al pagamento di una bolletta al like alla foto di un gatto. Lo stesso file viene aperto da più device, l’ultima versione del testo è sempre a portata di mano.



Proprio perché questa vergogna che non riesco a mitigare rischierebbe di farmi trovare qualsiasi scusa per non buttare giù neanche una riga, ho reso lo scrivere un’attività priva di rituali o complicazioni, che all’occorrenza può essere compiuta anche nel cesso di un autogrill, con il cellulare in mano. Sempre per la stessa vergogna la scrittura è stata e ancora è un’attività notturna, nonostante non abbia obblighi d’ufficio che mi impedirebbero di scrivere in orari più umani - anche se devo ammettere che verso l’una, le due, è il momento in cui il continuo flusso di notifiche che è parte integrante del lavoro che mi mantiene si placa quasi totalmente, rendendomi impossibile trovare distrazioni plausibili, o persone disposte a farmi da diversivo e intrattenermi con qualche conversazione mentre evito di scrivere.

Solitamente l’unica persona che trovo online dopo le tre di notte è il mio editor, che a differenza mia ha la tendenza ad alzarsi presto: mentre lavoriamo assieme a un libro proviamo quasi quotidianamente lo stupore di incontrarci virtualmente nella chat in cui ci scambiamo i file alle cinque di mattina, io ancora sveglia e lui già sveglio - io, ormai sfinita, vado a dormire appena inviata l’ultima versione, cosa che mi permette di non vivere le seguenti ore con l’angoscia di aver fatto un pessimo lavoro, lui, che invece si è alzato da poco, può lavorare pacificamente al testo, senza che io passi il tempo ad affliggerlo con messaggi in cui gli intimo di dare virtualmente fuoco a ogni cosa che ho mai scritto e considerare la mia carriera conclusa lì.


Nelle puntate precedenti:




(Foto: Kirsten Marie Ebbesen - Unsplash)

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