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Paolo Cognetti e Sofia si veste sempre di nero

In questa rubrica in collaborazione con minimum lab ospitiamo sul magazine articoli di approfondimento a cura dei nostri corsisti: Francesco Cristaudo ci racconta Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti.


di Francesco Cristaudo

Sofia si veste sempre di nero è un romanzo di Paolo Cognetti, pubblicato nel 2012 da minimum fax che ha per protagonista una donna, Sofia Muratore, osservata dal momento della sua nascita fino ai suoi trent’anni. Una delle caratteristiche più originali di questo libro sta nell’essere composto da dieci capitoli-racconti leggibili in completa autonomia. Il fatto che l’autore utilizzi la forma breve non sorprende se riflettiamo sull’importanza che per lui riveste l’America. Cognetti conosce bene la letteratura americana e ne ha interiorizzato lo stile e la forma, infatti negli Stati Uniti le short stories hanno una tradizione e un mercato decisamente maggiore rispetto all’Italia. Inoltre la letteratura americana affonda le sue radici nel minimalismo e in una scrittura asciutta, quasi chirurgica, proprio come in Sofia si veste sempre di nero.

Nonostante lo stile sia apparentemente asettico, il romanzo riesce a fare leva in maniera vigorosa sull’emotività, suscitando nel lettore una vasta gamma di sentimenti, sia negativi che positivi. Ne è un esempio il capitolo d’apertura, “Prima luce”, nel quale assistiamo alle cure dell’infermiera per la neonata Sofia: «L’infermiera cominciò a parlare con Sofia di notte, quando nessuno la vedeva. Si sedeva accanto all’incubatrice e raccontava. Era come parlare alle piante del suo balcone: magari non serviva a un bel niente, ma a lei faceva bene e alla bambina non poteva far male. Una notte dopo l’altra raccontò a Sofia tutto quanto: della cascina in cui era cresciuta, della vita che aveva fatto fino ai trent’anni, del prete che l’aveva convinta a trovarsi una vocazione, delle suore crudeli della scuola da infermiera, del giorno in cui era venuta a stare in città e vedendo l’appartamento aveva pianto. Era stato necessario imparare a essere dura. Proprio come con il sangue, il vomito, le feci, le piaghe infette, quello che ti toccava vedere quando un corpo si apriva, quand’era invaso dalla malattia o mutilato da un incidente, e non potevi distogliere lo sguardo. Le disse tutte queste cose con le parole più semplici che conosceva».

Questa scena ci fa capire come Cognetti riesca a coniugare lo stile asciutto a un modo di raccontare empatico e capace di emozionare. L’infermiera racconta la sua vita, i traumi, i momenti di crescita, gli orrori cui ha assistito, e la racconta a una bambina inerme, nata prematura e in bilico tra la vita e la morte. È un’immagine forte. Ed è anche una dichiarazione d’intenti dell’autore, che in queste poche righe definisce chiaramente la sua poetica. Innanzitutto afferma che l’atto del raccontare potrà anche non servire a niente, ma di sicuro fa bene a chi racconta. Il racconto e più in generale la letteratura possono curare i mali dello spirito e non è un caso che chi pronuncia queste parole sia un’infermiera, ovvero una persona che dedica la sua vita a prendersi cura delle altre persone.

Esiste un parallelo tra la figura dell’infermiera e quella dello scrittore; ciò è evidente nel finale del brano citato, dove ci viene detto che la donna ha raccontato tutto a Sofia con le parole più semplici che conosceva, proprio come Cognetti racconta a noi la vita di Sofia con le parole più semplici che conosce. Ambientando il racconto in un ospedale sarebbe stato facile perdersi in una terminologia complessa e intricata, con nomi di malattie impronunciabili e sconosciute. L’autore invece, si limita a parlare di corpi aperti, piaghe infette e mutilazioni, restando attaccato alla materia pura e semplice.

Gli altri racconti di Sofia veste sempre di nero continuano ad accompagnarci lungo la vita di Sofia Muratore, la bambina alla quale si confida l’infermiera del primo racconto. La vita della ragazza è tutt’altro che lineare e allo stesso modo la narrazione non procede in maniera uniforme, ma alterna una serie di punti di vista diversi, che vanno da quello di Sofia stesso, a quello di amici e parenti. Spesso la protagonista viene soltanto abbozzata, vista da un’altra angolazione, di sfuggita. Ne è un esempio il racconto “Disegnata dal vento”, nel quale viene raccontata la storia di Roberto, il padre di Sofia, in crisi con la moglie, Rossana, e con l’amante, Emma, conosciuta a lavoro. Questo racconto ci fa apprezzare a pieno la capacità di Cognetti di immergersi e raccontare i personaggi femminili, ma anche quelli maschili, senza cadere mai nella trappola di un ritratto macchiettistico.

È forse una delle caratteristiche più salienti della sua scrittura, quella di farci identificare in personaggi, pensieri ed emozioni verosimili. “Disegnata dal vento” è un racconto amaro: racconta il fallimento di un uomo che non riesce a stare bene né con la moglie né con l’amante (il racconto si apre con la frase: «Poco prima che Emma lo lasciasse li mandarono a Singapore, il posto più lontano da casa in cui fossero mai stati insieme»). Questa tristezza è rappresentata in maniera evidente nel finale del racconto, che ci mostra l’impossibilità di Roberto di comunicare i suoi sentimenti al mondo esterno: «Che cosa c’è?», gli chiedeva la donna che era Emma e Rossana, la donna delle sue due donne. «Hai visto qualcosa?» E Roberto avrebbe voluto rispondere: non è tanto quello che ho visto, è piuttosto quello che non ho visto. Sai quando sei fuori al sole e senti un’ombra passarti addosso? E allora guardi in su per vedere se era un uccello, una nuvola o cosa, ma ormai è troppo tardi, e qualunque cosa fosse è già passata? Ma questo non era il tipo di discorso che la gente si aspettava da uno come Roberto. «Niente», rispondeva. «Solo una macchina». E si teneva per sé quella breve visione, pensando che fosse più saggio non dire quello che non riusciva a capire.

L’autore ci ricorda che la letteratura serve a esplorare l’animo umano, a farci immedesimare nella vita di altri così da poter capire i loro drammi, le loro paure, le loro speranzeSofia si veste sempre di nero è un libro per chi desidera immergersi in un mondo composto da personaggi sfaccettati, analizzati con precisione chirurgica, in un romanzo breve e capace di scegliere poche parole, esatte, che rimangono scolpite nella memoria.


Mi sono laureato a Pisa in Linguistica e Traduzione, nella speranza in futuro di diventare un traduttore. Nel tempo libero scrivo, suono la chitarra, canto e leggo tutto ciò che mi capita sotto mano. Quando posso gioco con gli amici a calcetto, che un po' di attività fisica non fa mai male. 


(Foto: Kamil Szumotalski - Unsplash)

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