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Dickens, che trasformò la scrittura in un affare importantissimo

Nel 2016 lanciai una sfida a un gruppo di 20 miei colleghi, di quegli esemplari oggi tanto in voga conosciuti come i “creativi” del marketing digitale. Copywriter, social media manager, digital strategist, advertising specialist, tutti radunati in una sala dell’agenzia, con sessanta minuti a disposizione per immaginare come promuovere nella maniera quanto più innovativa possibile un ipotetico libro di prossima uscita. Divisi in gruppi, riempirono presto la parete di post-it colorati, su cui era impresso uno scorrere ininterrotto di idee, progetti, eventi, collaborazioni e iniziative di ogni genere. D’altra parte era quello il loro lavoro: guardare avanti. Fu con sorpresa che si resero conto che, per una volta, qualcuno stava per chiedergli di guardare indietro

Cominciai il mio racconto, supportato ovviamente da alcune slide che parlassero la stessa lingua del pubblico in sala, e li portai in viaggio nel tempo fino al 1836: in quell’anno Dickens selezionava i personaggi più influenti della sua cerchia di conoscenze, per inviargli in anteprima una copia del primo volume degli Sketches by Boz, i bozzetti che di lì a poco gli avrebbero aperto la strada verso il mondo dei romanzi a puntate. Non era forse questa una forma primordiale di quello che oggi chiameremmo “influencer marketing”? Andai avanti con le slide e presto l’entusiasmo tra i miei colleghi vacillò, per trovarsi rimpiazzato da una sorta di stupore misto a delusione. La causa era che stavo mostrando un susseguirsi di fatti che provava che tutto quello che con tanta vivacità e convinzione i miei colleghi avevano proposto, Dickens l’aveva già pensato più di 150 anni prima. Certo, parliamo di approccio, di “mindset” – per usare un altro termine caro a chi bazzica il mondo della comunicazione – perché è evidente che Dickens non disponesse degli strumenti che sono oggi alla portata di tutti, eppure la sua visione di come poter rendere un prodotto un’esperienza coinvolgente e dirompente, è più attuale che mai. 

Quella giornata fu per me soltanto uno degli episodi che scandirono un lungo percorso di approfondimento del Dickens imprenditore di sé stesso. In lui avevo scovato una stupefacente assonanza, un riflesso dell’inaspettata intersezione dei due mondi a me tanto familiari: da un lato la mia professione nel settore del digital marketing, dall’altro la vocazione per lo studio, il fascino per la letteratura vittoriana, per ciò che racconta una storia che sa di posti lontani eppure mai perduti. 

E così, come fu per me questo insolito incrocio ad accendere la scintilla della curiosità, credo che l’energia leggendaria di Dickens sia stata sprigionata proprio dalla potenza dell’impatto tra inclinazione e necessità, tra aspirazione e risolutezza. È fin troppo radicata ormai la tendenza a dipingere Dickens, nelle nostre fantasie letterarie, come lo scrittore barbuto e attempato delle foto più celebri, ecco perché fatichiamo ad associarlo all’energia inesauribile della gioventù. Sta a noi per primi l’onore e l’onere di compiere un necessario sforzo creativo, immaginando ciò che il progresso fotografico ci ha negato: un Dickens poco più che ragazzino, dinamico, sorridente eppure in affanno, sempre proattivamente alla ricerca di un’idea, quasi mai in mera attesa dell’ispirazione. Il problema è che il più delle volte, quando un libro si trasforma in un capolavoro che attraversa i secoli, siamo quasi portati a credere che sia sempre esistito, o quantomeno che un giorno l’autore abbia preso in mano la penna e qualche forza soprannaturale l’abbia guidato senza intoppi sino alla parola “fine”. E invece no, con Dickens la scrittura era l’avventura. Un libro da scrivere era una promessa da mantenere, un vincolo da sciogliere, una missione da portare inevitabilmente a termine, nei modi e nei tempi previsti. 

Va anche puntualizzato che nessuno mai insegnò a Dickens a fare lo scrittore e soprattutto a essere uno scrittore. La vita fu la sua maestra più esigente, mostrandogli l’atrocità della miseria e la pericolosità dell’inerzia, per questo Charles trascorse la giovinezza a racimolare le risorse essenziali a combattere la silente minaccia della mediocrità, ergendosi a esempio vincente di self-made man dei giorni nostri, ed è proprio questo percorso di crescita e auto-costruzione professionale che tanto limpidamente traspare dal volume L’anima degli affari

Lo studio dell’immenso epistolario di Dickens, dei suoi discorsi, della sua sconfinata produzione giornalistica, è stato come un naturale fluire della mia curiosità e, a essere onesta, mai l’ho affrontato nell’ottica di produrne una raccolta tematica. Eppure è emerso nel tempo che non esistano testimonianze migliori che quelle di prima mano per raccontare le singolarità del grande professionista, la sua ascesa al successo e l’affermazione di standard letterari mai raggiunti prima d’allora. La mia convinzione è che ne sia uscito un volume in grado di fungere a tutti gli effetti da manuale formativo, estremamente operativo, che mette l’esperienza di Dickens al servizio dei più ferventi indagatori dello spirito dei vittoriani, ma soprattutto di chi ha a cuore l’affare che per Dickens era il più importante di tutti: la scrittura.




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