Casa d'altri – Librai e scrittori raccontano un libro

Antigone a Versailles – Fabrizio Patriarca

Casa d'altri è la rubrica in cui librai e scrittori raccontano un libro.
Prende il nome da una straordinaria raccolta di racconti di Silvio D'Arzo, e ci sembrava il più adatto visto che ci piace parlare di libri, non solo dei nostri.

Inaugura la rubrica Fabrizio Patriarca, autore de L'amore per nessuno

Da lettori/scrittori immunodepressi dovremmo utilizzare la tragedia attica come presidio contro le tentazioni parodistiche di entrambi i mestieri – di fatto non c’è nulla come il testo tragico, con le sue forme non sclerate e l’imprevedibile fragilità dell’unicum, a garantirci un residuo di salute nel tempo malfamato dei meme e del cazzeggio. Lettura e catarsi sono modalità d’iscrizione al regime dell’arte, antitetiche per quello che è il loro perimetro (sfera privata/soliloquio, sfera pubblica/coro), mentre il cazzeggio è sofisticazione, un’infezione estesa che oggi tende a inclinarsi sul paradosso: il cazzeggio serio che come tale produce ambiguità facilmente accessibili dal discorso politico, dalle narrazioni sociali a tasso periodico, dalla narrativa come fattispecie della vanità. Ma dove abbiamo riconosciuto questa “domanda di tragico” che rinnova la discendenza dalla tradizione occidentale mentre ci inchioda alla nostra deriva di cazzari?

Gli anni settanta sono stati intaccati, tra molti altri fenomeni ammoniacali, dal ritorno di Antigone: non tanto dietro all’idea già circolante da un paio di secoli della perfezione sofoclea, quanto per verifica nelle sue riscritture moderne, con tanta Simone Fraisse (Le mythe d’Antigone, 1974), e un affaccio prolungato sul decennio posteriore: il Genette di Palimpsestes (1982) e più tardi, a compendio, Antigones di George Steiner, che è dell’84.
Garzanti porta Antigones al lettore italiano nel 1990, io stavo finendo il liceo, mio padre mi passò la sua copia che poi lessi all’università – luogo peraltro generalmente deputato al cazzeggio (la cui Storia Evolutiva in Edizione Semplificata ci avverte che il bar è passato su Facebook, l'università su Twitter). Nel libro Steiner vuole osservare le interazioni tra culture che girano attorno alla tragedia, dunque sospende la rassegna delle Antigoni, si muove per così dire su un terreno dissodato, può voltarsi indietro e considerare i libri usciti negli anni settanta come gli estremi di un lavoro preparatorio al suo, gli interessa Antigone quanto gli interessa il riconoscimento di una “poetica della lettura” che ci riguarda tutti: all’inizio degli anni Novanta il suo libro interrogava il mio rapporto col leggere, la necessità di dramma e – fatalmente – la domanda di tragico che in me si era formata su modelli apparentemente lontani ma, lo capisco adesso, legati a quella domanda per vie anche avventurose.

Nel 1979, quando Steiner cominciava a progettare Antigones dopo una conferenza all’università di Exeter, la Tokyo Movie Shinsha lanciò in Giappone la serie televisiva animata Berusaiyu no bara (La rosa di Versailles), che da noi sarebbe sbarcata qualche anno più tardi – la solita stracciatella, come usava allora, di censura/montaggio/doppiaggio: era il 1982. E insomma fu il mio primo, serio esperimento col tragico: Lady Oscar. Le figure slanciate di Ikeda Ryoko, che erano imponenti, slanciate da un eurocentrico complesso d’inferiorità (André, Hans Axel di Fersen, la stessa Oscar, androgino che non sfigurerebbe come erastès dentro un manga yaoi, oggi) spesso bionde (tara idolatrica giapponese), come la Maria Antonietta ispirata da Stefan Zweig, e soprattutto i loro conflitti, quelli sì tipicamente antigoneschi: pubblico contro privato, cittadino contro stato, femmina contro maschio, sentimento contro politica e quanti altri ne vuoi. Il cuore contro la legge: Oscar era l’eroina di una serie che annusava e inseguiva l’epico nella soggezione storica per una grandeur facile alla mitizzazione (sulla riconversione mitica del tragico i giapponesi dovrebbero chiedere i diritti), ma trama dopo trama finiva per scendere, chissà quanto volontariamente, dentro l’ennesimo travestimento di Antigone.

D’altro canto Steiner dichiarava subito l’idea che i maggiori sistemi filosofici a partire dalla Rivoluzione Francese, lungo l'asse Fichte-Heidegger, si fossero costituiti come «sistemi tragici», che voltano in metafora la «premessa teologica della caduta dell’uomo». Per un appassionato di filosofia sono concetti libidinosi – se non altro la faccenda che il pensiero si celebri come tragedia, prima di sessualizzarsi (vedi Bataille e altri sadiani novecenteschi scampati o fuoriusciti dalla Bastiglia strutturalista), perché di norma avviene il contrario, ma forse in filosofia la tragedia appartiene ai preliminari. Eppure davanti alla pagina di Steiner la linea dello sguardo si drizza puntualmente su «Rivoluzione Francese», perché «Rivoluzione Francese» lo leggiamo quasi sempre come un pittogramma che si trascina dietro l’imprinting televisivo: il corpo nudo di Oscar avvolto dai rovi (una figata tra ukiyo-e e Tekkaman, tra cristologico e Hokusai), i fumi sulle barricate, la voce strange-brasileira-saudadica di Clara Serina nella sigla di testa, questa roba inestirpabile che ha colonizzato l’immaginario di noi nati all’inizio degli anni Settanta. La domanda di tragico è tale che sono andato a vedermi il film di Jacques Demy – c’è su YouTube – Lady Oscar, ancora del ’79, che a quanto pare è l’anno topico dell’antigonismo versaillista. Nel film ecco due apparizioni del femminino che hanno modellato l’estetica del me adolescente, per cui mi sdraio nella visione in preda a un languore indicibile, che manco Anassimandro in braccio all’ápeiron: Patsy Kensit, poi assorbita da Hollywood e guest dei Pet Shop Boys, e Caroline Loeb, che nell’86 avrebbe sfondato le classifiche con C’est la ouate, raffinato, sconclusionato elogio della paresse che sistemerei, se proprio vogliamo ostinarci con i paragoni instabili, tra Anatole France e Jacques Leclercq – a memoria del fatto che le domande suscitano inevitabilmente orizzonti, e la pigrizia è (o potrebbe rappresentare) l’orizzonte di un tragico in disidratazione, un tragico-in-parte-déjà-vu!, affidato a forme che lo comprimono o volatilizzano, disincagliandolo, se non altro dalle nostre attese generiche, il tragico disinvolto


Nota: Per il testo dell’Antigone, che non cito per non offenderlo, mi riferisco alla traduzione fornita dagli Oscar Mondadori. 

 

Fabrizio Patriarca

[autore di L'amore per nessuno]

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